Tavola tratta da "Cappuccetto Rosso: una fiaba moderna" di Roberto Innocenti |
O almeno questo è quello che mi è parso di vedere entrando al Città Fiera di Udine. Forse per molti è normale, ma io entro in posti del genere meno di una volta all'anno e, quando lo faccio, vedo un mondo a me lontano e ne studio con distaccato interesse le dinamiche.
Una mamma che fa misurare alcune paia di scarpette col tacco alla figlia di 8/9 anni...
una donna con decine di potenziali acquisti sparpagliati davanti a sé telefona all'amica descrivendoli tutti e cercando conferme ("...quasi quasi chiudo gli occhi e li scelgo tutti!")...
scaffali immensi e altissimi con prodotti tutti uguali, ma leggermente diversi....
immensi parcheggi a più piani...
il commesso che mi spiega come ora quando scrivono "punto vita regolare" sui pantaloni intendono quello che pochi anni fa era "vita bassa", che la "vita bassa" ora è inguinale, che se voglio un paio di pantaloni comodi ho sbagliato negozio (tra parentesi, il commesso mi è piaciuto un sacco e lo vorrei come mio amico "sporadico") ...
emarginati ignorati, bambini strattonati, piedi strascicati, vestiti firmati, vestiti s-firmati, lavoratori sfruttati, involucri inutili gettati, colori sgargianti, bisogni indotti, tempo sprecato, alienazione.
Però ho giocato e mi sono divertita a misurare, fotografare e riporre al loro posto un paio di scarpe che mi sono piaciute, ma per la vita che faccio sarebbero state inutili: eccole.
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