lunedì 28 ottobre 2013

Della Decrescita e dello scambio di vestiti.


Spesso mi sono chiesta chi diamine me lo fa fare di smistare ad ogni stagione scatoloni su scatoloni di vestiti usati: non farei prima a comprare lo stretto necessario, magari in quei grandi magazzini di moda economica sparsi ormai per tutta Europa...
 Mi eviterei la perdita di tempo (e di sanità mentale, c'è da dirlo) di guardare, rimettere elastici dove mancano, separare per età, per stile, tirare fuori e dentro da armadi, soffitte, garage (altrui, ché io non ne sono ancora fornita) le scatole, i sacchi e le valige.
Quando mi serve una giacca più grande non sarei costretta ad un'estenuante caccia al tesoro; quando arriva all'improvviso il freddo non perderei tempo a cercare dove diamine ho messo i dolcevita della taglia giusta (per poi, magari, trovarli troppo piccoli perché avevo fatto male i miei calcoli e i bambini non crescono in maniera così costante).
Talvolta mi basterebbe andare, munita di carta di credito -così pratica e leggera!- in un negozio e comprare la cosa che mi serve in quel momento, della taglia giusta e del colore adatto.

Ma, come al solito, c'è un ma. Ormai cominciate a conoscermi: tendo sempre a vedere i due lati della medaglia.
In questo caso, l'altro lato, se lo si pulisce da quella patina che fa molto anni '70 e dà un senso di vecchiotto, rivela splendenti gioie.

Prima di tutto, la gioia della condivisione: la felpa avuta dall'amico, ammirato e ormai arrivato alla scuola media, diventa un motivo d'orgoglio nell'indossarla; quelle gonnelline meravigliose ricevute dalla famiglia che abita laggiù ti fanno sentire un nuovo legame speciale con le persone che te le hanno donate; quell'abbondanza di stoffe colorate ci può offrire un piacevole senso di continuità.

In secondo luogo consideriamo, oltre al risparmio economico, il risparmio energetico e di risorse a livello collettivo: ogni abito "usa e getta" che non compriamo significa meno rifiuti, meno campi coltivati a cotone pieni di pesticidi (quegli stessi campi potrebbero essere valorizzati dalle popolazioni locali, di solito le più povere, per la produzione di cibo), meno acque reflue zeppe di porcherie chimiche che vanno ad inquinare le risorse idriche del pianeta, meno sfruttamento; in sintesi meno PIL, forse, ma davvero vogliamo credere che questo inutile e sciocco  indice di crescita sia così importante?

Da non sottovalutare, poi, che comprando meno prodotti di certe grandi catene si compie un passo in più verso la disincentivazione dello sfruttamento della manodopera a basso costo (che poi succedono le tragedie e tutti si indignano per un paio di giorni...).

Insomma, alla fine dei conti, continuo a frugare tra gli scatoloni, mettendo via per altre persone quello che c'è di troppo, scoprendo nuovi tesori con i miei figli, sfoggiando orgogliosi gli abiti già usati da qualcun'altro, consapevoli di dare una nuova vita a ciò che alle altre persone non serve più.
Certo, ogni tanto mi concedo un paio di acquisti, magari anche economici, magari di quelle grandi catene di negozi di cui scrivevo prima (mica sono una santa!), ma, finché avrò la fortuna di poterlo fare, continuerò ad affrontare le mie preziose giornate di colorata confusione tra magliette, giacche e pantaloni usati.

venerdì 25 ottobre 2013

LA RUOTA DEGLI ELFI - I Venerdì del Libro

Per il Venerdì del Libro di oggi ho pensato di proporre questo bellissimo libro di Janet Tyler Lisle.  

Hillary è una ragazzina della middle class, figlia unica di una ordinata e ordinaria famiglia, è curiosa e dotata di molta voglia di sognare.

Sara-Kate è la sua vicina di casa: i loro giardini confinano ma, mentre il padre di Hillary dedica il suo tempo libero alla cura quasi maniacale del loro spazio verde - in cui niente può essere più selvatico e persino l'edera che si arrampica sul piedistallo della vasca per gli uccellini è stata piantata e potata per ottenere quell'effetto -, il terreno adiacente è completamente selvaggio, trascurato e costellato di rottami e rifiuti ingombranti.

Sara-Kate veste male, Sara-Kate è irascibile, Sara-Kate, si mormora, ha rubato gli orrendi stivali di gomma che indossa ad un benzinaio.
Sara-Kate è diversa, quindi va tenuta alla larga, isolata, un po' anche temuta. 
D'altro canto, sembra che sia ciò che anche lei desidera.

Un giorno la strana ragazzina decide di condividere con Hillary il suo segreto: nel suo prato, tra gli sterpi e l'erba diavola, c'è un villaggio di elfi! Che sia proprio la mancata addomesticazione di quello spazio ad averli attirati?

La cura del piccolo villaggio, la fantasia dell'una e la sensibilità dell'altra avvicineranno le due svelando poco a poco il mistero che si cela dietro agli infissi chiusi della cupa casa di Sara Kate, fino all'epilogo un po' triste ma realistico.

Un romanzo che aiuta ad aprire la mente, lo propongo dagli otto anni in poi come lettura autonoma (ma lo leggano anche i genitori: è interessante poi confrontarsi coi propri figli sui pensieri e le emozioni suscitati dalla storia), anche prima se a leggerlo ad alta voce è un adulto.

giovedì 24 ottobre 2013

Il decalogo della Decrescita Felice,



1.  Accorciare le distanze tra produzione e consumo, sia in termini fisici che umani.

Ricollocare il più possibile l’economia nel territorio in cui si vive, chiedersi quanta strada ha fatto ciò che si sta consumando e chi lo ha prodotto, fare acquisti direttamente dal produttore e far parte di un GAS per minimizzare i chilometri percorsi dai beni tra produzione e consumo, stabilendo anche rapporti umani di amicizia e fiducia con chi produce.

2.  Riscoprire il ciclo delle stagioni e il rapporto con la terra.

Trovare il tempo per interrogarsi sulle qualità di ciò che si sta consumando e quale potrebbe essere l’alternativa più ecologica e salutare per soddisfare gli stessi bisogni.
Confrontare i propri ritmi con quelli della Natura, rallentare invece di accelerare, aspettare la stagione giusta per assaporare i frutti della terra nel momento in cui sono più saporiti e nutrienti.

3.  Ridefinire il proprio rapporto con beni e merci.

Sostituire il più possibile le merci con beni autoprodotti o scambiati all’interno di relazioni non mercantili, riportando alle sue dimensioni fisiologiche. 
Qualche esempio di sutoproduzione: yogurt, pane, dolci, liquori, ortaggi, conserve, sapone…

4.  Ricostruire le interazioni sociali attraverso la logica del dono.

Creare momenti comunitari di scambio di beni autoprodotti utilizzando la logica del dono, facendo attenzione a non cadere nella logica del baratto: il baratto è il precursore della moneta e quindi degli scambi
mercantili. Donare la propria esperienza e il proprio sapere agli altri, il proprio tempo e il proprio sapere aiuta a rendere consapevoli che c’è anche l’obbligo a restituire quanto si è ricevuto.

5.  Fare comunità.

Consolidare nel tempo le relazioni umane non mediate dal denaro e creare periodicamente le occasioni per fare in modo che le relazioni umane generate dall’economia del dono diventino il più possibile stabili nel tempo.

6.  Allungare la vita alle cose, rifiutando la logica dell’ultimo modello.

Adottare uno stile di vita che poggi sulle quattro “R”: riduzione, riuso, recupero e riciclaggio (non di denaro sporco, ndr;)) e impegnarsi a diffonderlo il più possibile, trattando le merci per quello che sono: un mezzo e non un fine.

7.  Ripensare l’innovazione tecnologica.

Adottare tecnologie che riducano il consumo di risorse naturali preferendo l’innovazione volta al risparmio invece che quella rivolta all’incremento dei consumi, interagendo con le imprese che aderiscono al MDF e propongono prodotti o servizi capaci di ridurre i nostri consumi.

8.  Esserci pesando il meno possibile sull’ambiente come forma di massimo rispetto per noi stessi e le generazioni future.

Ridurre il più possibile la propria impronta ecologica, facendo le stesse cose con meno cose ed evitando di fare ciò che non è strettamente necessario per il proprio benessere e per quello degli altri.
Ridurre l’impiego di mezzi di locomozione propri laddove possono essere sostituiti da mezzi pubblici o mezzi meno inquinanti, adottare e diffondere forme di trasporto condivise come il car sharing i il car pooling. Produrre e attuare un modello alternativo alle grandi centrali e al trasporto dell’energia su lunghe distanze, basato sulla produzione su piccola scala per l’autoconsumo e la vendita alla rete per l’eccedenza.

9.  Ridefinire il proprio rapporto con il lavoro.

Ridefinire il lavoro salariato come mezzo per soddisfare parte dei propri bisogni e non come fine della propria esistenza. Concepire il lavoro in generale come strumento per l’affermazione della dignità umana ma non come l’unica modalità di espressione della medesima, sperimentare stili di vita capaci di ridurre i consumi inutili e dannosi come presupposto per ridurre il temp dedicato al lavoro salariato necessario per pagarli.

10.  Diffondere i principi del Movimento per la Decrescita Felice in ambito politico.

Anche senza partecipare direttamente a competizioni elettorali o alla vita dipartiti politici, trovare le strade per fare giungere le idee e le proposte del MDF a chi ha il compito di governare il territorio in cui si vive.
Fare quella che si dice “la vita politica partendo dal basso”, dagli ambiti più vicini alla vita e ai problemi delle persone, organizzare incontri pubblici coinvolgendo i propri concittadini in battaglie specifiche evitando – sia ben chiaro - ogni tentativo di strumentalizzazione delle idee e delle proposte del MDF a fini elettorali.


http://decrescitafelice.it/


Ne parlo anche qui e sotto l'etichetta EcoLogica trovate anche la storia del nostro orto.





mercoledì 23 ottobre 2013

Cos'è la decrescita felice. Ma, sopratutto, cosa non è.

Leggo sempre più spesso opinioni furbescamente raffazzonate e descrizioni ignoranti ma ammiccanti che riguardano la decrescita; post che vorrebbero essere articoli smontano il movimento sostenuto da Serge Latouche come un'irritante utopia, irrealizzabile alla resa dei conti, o confondono la recessione, la perdita del lavoro, i problemi economici con la Decrescita.

Ma cos'è la Decrescita Felice? Cosa si prefigge il Movimento che la sostiene? Come si decresce?

Posto che non credo ci sia una ricetta valida per tutti, considerata proprio la natura di questa nuova/vecchia visione, comincerei col dire che cosa non è.

Decrescita Felice. Notare l'aggettivo che accompagna questo termine che indica una scelta.

Decrescita non è quando, costretti da un improvviso licenziamento e/o obbligati dalla maternità e dal conseguente mantenimento dei figli, si "tira la cinghia" sognando spese pazze e sospirando di rimpianto pensando alla propria vecchia vita da yuppie.

Decrescita non significa fare momentaneamente più attenzione all'economia domestica, sperando che tornino al più presto gli anni di vacche grasse.

Decrescita non può essere non uscire la sera a gozzovigliare o a ballare in discoteca bevendo cocktail alla moda solo perché si è diventati genitori.

Decrescita non è mangiare farro-kamut-bio-formaggi di capra perché fa molto eco-chic; non è imparare a tricottare per avere la scusa di fare shopping nelle mederne boutique di lane e filati; non è dedicarsi al decoupage o ad altre simpatiche (e trendy, perché non dirlo?) attività di "bricolage femminile" saccheggiando colorifici e grandi magazzini della manualità: questo si chiama shopping, come quello che si faceva prima, ma pitturato di verde (forse è bene puntualizzare che non ho niente contro queste attività: semplicemente non ritengo siano sinonimi di decrescita).

Quando leggete sciocchezze come "ma quanto è cara e triste la decrescita", sappiate semplicemente di essere di fronte all'uso sconsiderato di un termine su cui si sta facendo troppa confusione.

Io non sono certo una virtuosa in questo campo, ma posso dire di aver fatto insieme a mio marito una scelta di decrescita, ormai da quasi dieci anni, a volte facendo grossi passi avanti, altre un po' a gambero, ma sempre con consapevolezza.

La mia esperienza mi dice che è un processo piuttosto graduale, che non si può certo improvvisare, anche se questa non dev'essere la scusa per procrastinare.

Quindi, da oggi, vorrei aggiungere una piccola rubrica a questo mio blog senza pretese: cercherò di raccontare i nostri tentativi di Decrescita Felice (qui il decalogo) , non per arroganza, ma per condividere le nostre esperienze, quello che stiamo imparando, le difficoltà e le soddisfazioni di una scelta di vita che guarda al futuro.

E se qualcuno di voi volesse contribuire raccontandomi altri (s)punti di vista, ben venga!: potremmo creare un nuovo progetto di condivisione.

CONDIVIDI LA TUA DECRESCITA FELICE:
gioie e dolori di una scelta consapevole.

Dittonghi, iato e trittonghi: un aiuto per sillabare.

Visto che in famiglia siamo tutti presi dalla composizione giocosa di haiku, ho preparato un file con queste semplici tabelle, prendendo spunto dai vecchi testi scolastici di mia madre.

A volte viene qualche dubbio tra un dittongo e uno iato: un veloce ripasso non fa mai male!








martedì 22 ottobre 2013

Transumanza.

Da un paio di mattine il nostro risveglio è rallegrato dal belare delle pecore e delle capre, a volte sommesso, altre squillante, nelle varie intonazioni degli agnelli o di un caprone solitario.



I campanacci, che portano subito gioia.



Il ragliare improvviso degli asini, che sembra vogliano rispondere all'abbaiare secco come un rimprovero dei cani (bastardi, ma solo geneticamente, non come certi umani).



Ogni tanto i richiami gutturali e potenti dei pastori, i loro fischi variamente modulati, spezzano l'armonia dei suoni delle bestie e scombussolano il gregge, facendogli cambiare assetto per non farle allontanare o per spostarle in un pezzo di prato migliore.








Vedeste le corse di quei cagnoni -affettuosi e leali quanto severi e attenti- che radunano gli ovini facendo assumere alla massa bianca diverse forme, come in una meravigliosa coreografia!







Il sole inonda i campi, salendo oltre le cime; i colori brillano in tutte le loro sfumature, col giallo degli aceri e il rosso dei faggi, il verde chiaro dei larici e quello più scuro degli abeti.
Nel cielo, nuvole bianche portano la loro ombra su pendii e conche e pianori.



L'autunno non durerà ancora a lungo, le bestie vengono spostate in campi più a valle: la transumanza segna l'arrivo del freddo.

E noi ci godiamo gli ultimi pomeriggi di gioco tra le foglie.


domenica 20 ottobre 2013

Haiku e bambini.

Suppongo che ultimamente ne stiano parlando in tanti, anche perché lasciarsi contagiare dalla mania dell'haiku è facile e divertente, sopratutto se a veicolare l'idea di leggerissimi componimenti rilassanti ed estemporanei come un gioco sono uno scrittore accattivante del calibro di Pino Pace e delle blogger poliedriche e brillanti come Stima, Lunamonda e Anna Morchio.

Dal loro incontro (reale e virtuale) nasce un nuovo blog fresco e creativo, ispirato dal libro "Un gatto nero in candeggina finì", che stuzzica la fantasia di adulti e bambini.


Sì, perché gli haiku ("L' haiku è caratterizzato dalla peculiare struttura in versi, rispettivamente di 5, 7 e 5 sillabe." cit.) possono diventare un passatempo e/o uno scacciapensieri da fare anche in compagnia dei bambini in età prescolare!

Ogni fenomeno osservato, ogni scorcio ammirato, ogni oggetto intorno a noi può essere il seme per un nuovo haiku, e nei bimbi si trova facilmente terreno fertile per coltivare la "poesia dell'essenziale".

Loro spesso sanno istintivamente sintetizzare, trarre il succo, catturare con lo sguardo e tradurre poi in concetti minimi la bellezza che li circonda; se poi gli dai la possibiltà di giocare in mezzo alla natura, la cosa risulta ancora più facile.
Portate i bambini al parco, nel bosco, nel giardino di casa, in campagna e fermatevi a cogliere particolari ed emozioni, chiedete loro di descriverli e aiutateli a trovare la metrica giusta: le diciasette sillabe diventeranno una compagnia abituale nelle vostre passeggiate.

In casa nostra l'haiku è diventato un esercizio tra il rilassante e lo zen per me; un buon ripasso (e approfondimento) per Harald che, forte dei suoi quasi otto anni, si incanta contando sillabe sulle dita e sfornando un componimento dopo l'altro come se fossero biscottini; ma anche un simpatico modo per osservare le cose insieme a Hilde che a cinque anni ha comunque capito la faccenda del suddividere le parole in tronconi che spesso risultano spontaneamente giusti, a volte invece sono un po' arbitrari e vanno corretti, ma, in ogni caso, si possono contare sulle dita delle mani per sentirsi un po' più grandi e un po' poeti.
A tutto questo si aggiunge il duenne Bjorn: sentendo tutto questo spezzare parole, blatera sillabe insensate alle orecchie dei più, con somma soddisfazione del suo piccolo-grande ego.

Il meccanico barbuto, invece, sarebbe tentato, ma dice che la puzza di gasolio e di limatura di ferro che respira in officina gli fa passare ogni ispirazione.
"Odore acre,
limatura di ferro:
povero Iuri!"

"Petali viola,
fiore dal lungo stelo
colto per mamma"

"Da un acero
una foglia per papà.
Gialla e nera"
                    (Hilde, con un po' di aiuto)


E se giocando e sillabando foste colti come me da improvvisi dubbi sul dittongo e lo iato, vi propongo un paio di schemini tratti dal libro di grammatica che usava mia madre alle medie (l'ho sempre avuto accanto, fin da quando la mamma mi aiutava con i compiti alle elementari) e, per i più moderni, un sito utile già segnalato da Ufo's Mum.




P.S. Anche le maestre della scuola di mio figlio hanno allegramente aderito al gioco: mi è bastato prestare loro il libro di Pino per coinvolgerle. In tutta la scuola ora si parla di haiku!


venerdì 11 ottobre 2013

Per sempre insieme, amen - I Venerdì del libro

Polloke è una ragazzina dall'intelligenza vivace e dalla risposta pronta ("Ho solo undici anni, non mi dispiacerebbe avere ragione meno spesso."), con una famiglia mediamente incasinata composta da madre separata, fratellastri frutto di una relazione precedente, fratellastri arrivati da una relazione successiva, nonni paterni che non comunicano più col padre e lui, l'adorato e sempre perdonato papà Spik, assente e presente, immaturo, incasinato e amorevole ("Tutti i bambini hanno un Padre Problematico, credo").

Un bisticcio "culturale" col suo fidanzatino Mimun, marocchino dai profondi occhi neri, provoca all'inizio del libro una serie di cambiamenti nella vita di questa giovane poetessa dalle idee chiare, cambiamenti e problemi che Polloke affronta con un disarmante mix di leggerezza e saggezza, accompagnando i suoi pensieri con piccole poesie e improvvise frasi di estrema lucidità.

Un racconto breve ma intenso narrato superbamente dal vincitore del premio Astrid Lindgren 2012, Guus Kuijer, che in meno di cento pagine riesce ad affrontare questioni delicate e ormai comuni come le separazioni, i rapporti tra famiglie allargate, i rapporti tra etnie, culture e religioni diverse, la droga e la povertà con leggerezza e intelligenza.

Assolutamente imperdibile.

Dello stesso autore:

Qui la scheda del libro
Qui la scheda del libro
  









Questo post partecipa al Venerdì del Libro e alla Biblioteca di Filippo.



giovedì 3 ottobre 2013

Immagino.

Le lacrime spingono prepotenti per farsi strada, la gola è stretta in un nodo che punge e brucia.

Immagino.

Pochi giorni fa una notizia simile, meno grave, se così si può dire.
Anche lì le lacrime, a tradimento, in cucina.

Immagino. Mi immedesimo.

Lo stomaco in subbuglio per il mal di mare, e la fame, nonostante tutto.

Le lacrime e i singhiozzi.

L'odore della salsedine e quello acre della paura.
La puzza di urina, il sudore.

Immagino.

La fame, di nuovo, e la sete.

E la paura, di nuovo, ancora.

La sento io, nelle viscere, e si mescola alla nausea che mi provoca il pensiero dell'inutile e ipocrita cordoglio delle istituzioni.
Ipocrita, sì, perché io posso muovermi liberamente, cercare lavoro in Austria o in Gran Bretagna, cercare opportunità in altri luoghi, ma ad altri è impedito.

Inutile, come le leggi sull'immigrazione e le frontiere che impediscono la libera circolazione delle persone. Evidentemente inutili, visto il continuo susseguirsi delle tragedie.

Immagino. Mi immedesimo. E non so far altro che piangere.

Una canzone: "Ritals" di Gianmaria Testa (Da questa parte del mare, 2006)


Un libro che parla a noi e ai nostri figli:
"Quanto mare..." di Alfredo Stoppa e Sonia Maria Luce Possentini, Falzea 2008.

Il mare, visto con gli occhi di due bambini.
Uno affronta un viaggio in un barcone dell'orrore, l'altro viaggia con la propria famiglia per una spensierata gita.
Entrambi vedono, pensano, sperano.
Il mare, grande, immenso, attraente o spaventoso come sfondo.

Godersi i piccoli momenti (io amo l'autunno).


Tornare a casa da scuola passando per il bosco.

Osservare come ogni giorno cambino le sfumature di colore degli alberi.

Cercare funghi, non necessariamente per mangiarli.

Trovare sassi o pigne particolari.

Il calore dei raggi del sole amplificati dai vetri della serra.

Il verde terapeutico dei prati sfalciati.

Un capriolo che fa capolino verso sera.

Ricevere un dolce invito ad un semplice pic-nic dal proprio figlio duenne (e la mamma si sciolse...).


Piantare alberi con la speranza e l'amore che sempre comporta questo gesto così ottimistico.

La dolcezza delle ultime, sorprendenti fragole della stagione.

Le foglie di faggio, fruscianti di spensierata allegria.

Il profumo delle aromatiche appese a mazzi a testa in giù ad essicare.

Il sapore dolce-salato di un centrifugato di carote appena raccolte.

Scoprirsi felici di piaceri minimi, come l'odore di pulito dei panni stesi mossi dalla brezza ottobrina.

Stupirsi di come ogni anno si rinnovi la meraviglia.










mercoledì 2 ottobre 2013

Imparare il mondo




Scrivere su questo blog mi aiuta a fissare alcuni pensieri che, spesso, vagano come farfalle nella mia testa, rincorrendosi e inanellandosi apparentemente senza fine.

Pensieri che arrivano all'improvviso mentre ascolto la radio o leggo una frase o ricevo un input dal web; elucubrazioni solitarie mentre strappo le erbacce nell'orto o taglio l'erba del prato (i lavori noiosi e continuativi permettono riflessioni profonde); idee che si accavallano mentre pulisco casa; ragionamenti che si affastellano a partire da chissà poi cosa.


Capita poi che non riesca a scrivere tutto quello che elaboro nella mia testolina matta, ma mi è comunque utile anche solo il cercare di riordinare le idee immaginando di scriverle appena possibile.

Un po' come con i bambini: da quando ho figli guardo il mondo ancor più attentamente, vedo connessioni che prima mi sfuggivano, cerco (e spesso trovo) il lato positivo in ciò che accade, imparo dalle esperienze quotidiane, trovando sempre uno stimolo per approfondire i piccoli-grandi insegnamenti della natura, dei bambini, delle relazioni.

Diciamo che ci provo, magari non sempre con successo, ma con la volontà di capire e di migliorarmi, per "imparare il mondo" coi miei figli.

martedì 1 ottobre 2013

Piccola storia dell'orto naïf di Pileikele - 9. Zucchine sott'olio

Giorni frenetici di raccolta, pulizia e conservazione nel nostro piccolo-grande orto naïf.

Uno dei metodi che preferisco per conservare le zucchine è metterle nei vasetti usando questa ricetta:


- Zucchine sott'olio (ricetta di zia Licia)

1 kg di zucchine
20 foglie di basilico
4 cucchiainio di sale
1 cucchiaiono di zucchero
6 spicchi d'aglio
1 cipolla bianca
2 bicchieri d'olio extravergine d'oliva
1 bicchiere e mezzo di vino bianco
1 bicchiere e mezzo di aceto di vino bianco

Portare a bollore il vino e l'aceto con il sale e lo zucchero, aggiungere la cipolla affettata finemente e le zucchine tagliate a bastoncini non troppo lunghi o a rondelle, gli spicchi d'aglio interi e il basilico e cuocere per 4 minuti dalla ripresa del bollore.

Spegnere la fiamma e aggiungere l'olio, mescolando bene, poi invasare verdure e liquido in vasi di vetro sterilizzati.

Lasciar riposare i vasi (dovranno essere sottovuoto) per almeno un paio di mesi prima di mangiare queste deliziose verdurine.